Cure coronavirus: il virus continua ad espandersi aumentando contagi e vittime. Sono tantissime le nazioni che si stanno muovendo per cercare una cura contro il coronavirus prima che debutti il vaccino vero e proprio.
Detto ciò, fortunatamente per la malattia provocata dal nuovo virus, c’è qualche segnale che fa ben sperare; questa volta lo studio è partito dall’Università di Palermo. Il medicinale che potrebbe salvare la vita a tantissime persone si chiama Clorochina.
Ovviamente se in tanti stanno già pensando al miracolo si sbagliano di grosso. La clorochina, stando allo studio tutto made in Italy, non è una novità assoluta: è nota già da 70 anni, anche se ha iniziato a dare i primi segnali confortanti anche contro il coronavirus.
Almeno è quanto ha rivelato Sandra Figliuolo su PalermoToday, la clorochina potrebbe dimostrarsi effettivamente un farmaco molto efficace contro il nuovo coronavirus.
Cure coronavirus: nessuna soluzione miracolosa, ma una speranza c’è
La strada da fare è lunga, le ricerche su questo medicinale devono essere approfondite al meglio, già utilizzato con successo in altre patologie. Qual è il reale funzionamento della Clorochina e perché può servire per contrastare il Covid-19?
La clorochina “Riduce le possibilità del virus di entrare nelle cellule – spiega il ricercatore Andrea Cortegiani – e successivamente ne riduce anche la capacità di duplicazione. Non credo che esistano pozioni magiche che possano azzerare la progressione della malattia o inibire il contagio, ma è ragionevole pensare che la clorochina possa funzionare.
E’ un farmaco che ha anche una certa capacità di modificare la risposta immunologica dell’organismo e questo lo renderebbe utile eventualmente in tutte le fasi della malattia”.
“La sicurezza e l’efficacia del farmaco dovranno essere certificate dalle sperimentazioni in corso. La somministrazione va fatta solo e soltanto sotto stretto monitoraggio medico proprio perché c’è la possibilità che insorgano effetti collaterali.
Questi ultimi “è probabile che siano simili a quelli che già conosciamo – ipotizza Cortegiani – e che colpiscono più marcatamente una certa categoria di pazienti, nello specifico i cardiopatici“.