L’educazione social sta per arrivare. Quanto successo negli ultimi tempi sui social network ha fatto sì che le Autorità della Comunicazione scendessero in campo per porre rimedio.
Sono sempre di più le persone, a prescindere da quale sia la loro età, che attraverso i social network lanciano messaggi di odio e non solo. Il fenomeno degli haters è diventato ormai all’ordine del giorno. Sempre più persone si sentono in diritto di poter attaccare chiunque, convinti di farla franca proprio per questo viene scritto su una piattaforma digitale.
Per capire meglio quanto stiamo dicendo è sufficiente guardare i profili social, soprattutto su Instagram, dei vari vip. Ma anche degli esponenti del mondo dello spettacolo che ogni giorno devono lottare contro coloro che lasciano commenti negativi veri e propri messaggi di odio.
Sulla base di tale motivazione ecco che l’Autorità della Comunicazione ha deciso di esporsi lanciando delle regole necessarie per la convivenza sul mondo di internet.
Educazione social: editori autorizzati alla cancellazione dei messaggi
Troppe persone portano odio sui social. I contesti di queste vengono sono principalmente quelli contro i migranti, ad esempio, o vari esponenti nel mondo politico e non solo.
Sulla base di quanto detto si è reso necessario dunque l’intervento dell’Autorità della Comunicazione. Ha emanato un vademecum che come obiettivo a quello dell’educazione social.
Gli editori e gestori delle pagine su Instagram, Facebook sono autorizzati a cancellare tutti quei messaggi portatori di odio e che mettono in cattiva luce altre persone, attirando su queste problemi.
Come riportato da La Repubblica, l’Autorità della Comunicazione ha spiegato: queste parole prendono di mira bersagli specifici (come le donne, gli omosessuali, i meridionali, gli immigrati, i rom, le persone di colore, i musulmani)”.
Tale messaggio, continua, spiegano come queste persone “fanno leva su stereotipi e luoghi comuni, del tipo è noto che gli stranieri portano qui da noi le malattie, che rubano in casa o i nostri posti di lavoro; che le donne certe cose se le cercano”.