Mamma malata di Coronavirus saluta i suoi 4 figli per l’ultima volta, la lettera di un’infermiera. Nella lettera di un’infermiera, inviata al sindaco di Volvera, si racconta di una mamma positiva al Coronavirus che saluta i suoi 4 figli l’ultima volta.
Un saluto amaro, nel pieno dell’emergenza Coronavirus, che ci lascia con un vuoto nel cuore. L’infermiera non si definisce un angelo, ma ci ha tenuto a parlare della signora malata di Covid-19, per non dimenticare la sua storia.
Il fatto, avvenuto in uno dei reparti dedicati ai pazienti affetti da Coronavirus nel torinese, ha fatto il giro del web. Nella lettera, si legge della donna, che sa di stare per abbandonare questo mondo e che si prepara a salutare i suoi figli.
L’operatrice sanitaria cerca di dare coraggio alla paziente, e prende una decisione. Grazie alla videochiamata, permetterà a questa madre di poter vedere i suoi figli per l’ultima volta, accompagnandola verso il riposo. Vi lasciamo alla lettera dell’infermiera.
La lettera di un’infermiera
Che bello essere chiamati angeli, ma chissà se poi lo siamo davvero. È un sabato mattina di una settimana di allerta covid. Finalmente un giorno di riposo dopo tanto lavoro. Finalmente puoi dedicarti alla famiglia. Per te la quarantena non esiste, non esiste il divieto ad uscire, non è mai esistito.
Tu devi lavorare, sei preziosa, dicono. E invece no, niente riposo. Arriva la chiamata. Si deve andare. C’è bisogno di coprire turni. Il lamento è d’obbligo, non vorresti, ma si fa. Mentre ti prepari, rifletti che marzo non è stato affatto clemente: turni di 12 ore, ferie annullate, riposi, cosa sono i riposi?
Arrivi in ospedale, qualche figura nei corridoi, ma ancora troppa gente in giro. Arrivi al reparto critico, quello dove sono ricoverati i pazienti positivi. Tutto blindato, suoni. Ti apre la collega che è li da ieri sera. Stremata, viso segnato dalla mascherina e gli occhiali, prendi consegna e la congedi.
Deve riposare. Suona un campanello. Ti sporgi alla camera interessata, chiedi il motivo della chiamata, rassicuri che presto entrerai, e vai a vestirti. La vestizione è lunga, ci si deve bardare molto bene, non si possono commettere errori di trascuratezza. Entri dalla paziente, la conosci a saluti.
Ha un casco sulla testa, si chiama c-pap. Serve per respirare meglio, non ha molte speranze e il monitor al quale è collegata ne dà conferma. Ma la paziente è cosciente, lucida e orientata nel tempo e nello spazio, ma soprattutto sa che sta per morire. Lo sa, lo percepisce, lo sente. Parli un po’ con lei.
Non mangia da giorni. Questa mattina chiede la colazione. Ha un diabete non controllato e vuole due fette biscottate con la marmellata. Sarà certo il diabete il suo peggior nemico ora? E riferisci alla collega di passarteli. Quello sguardo implorante ti uccide. Distogli ogni tanto gli occhi da lei per non morire dentro.
Conosce la mamma di 4 figli
Mentre le sistemi i cavi dei parametri vitali, lei ti prende la mano, amore, sei mamma? Si, di due ragazzi. Allora puoi capire cosa sto provando?. Posso provare, ma se vuoi, puoi descrivermelo, ti ascolto. Ho 4 figli, sono sempre stati tanto mammoni.
Un rapporto bellissimo, anche perché gli ho fatto da madre e da padre, visto che sono rimasta vedova da giovane. Non ho paura di morire, non vorrei solo soffrire. Ma un giorno, uno dei miei figli è venuto a trovarmi e non lo hanno più fatto entrare.
E’ stato obbligato, non una scelta. Non ho potuto vedere più i nipoti, le nuore, nessuno. Io qui, loro a casa. Non ho potuto dir loro quanto bene gli voglio. Ma chiamali al telefono e diglielo! Si, ma non è la stessa cosa. E vabbè, però ti sentono.
Ti parlano, è già qualcosa, meglio di niente. Li chiamo ogni giorno, li sento che stanno soffrendo perché non possono stare con me fino alla fine. Entra il medico, la visita, squilla il telefono, è uno dei figli, la paziente gli dice: c’è il medico, te lo passo.
Il medico descrive al figlio la situazione. È davvero critica. Alla signora viene detto che dovrà essere intubata presto e che non ha molto da vivere. Il figlio chiede di poterla vedere per un ultimo, breve saluto. Non è possibile.
Il covid non decide su chi posarsi, si insinua su chiunque. Il medico esce dalla stanza, la signora piange disperata. Mentre è ancora al telefono con il figlio, il figlio piange con lei, lei ha sempre su di te quello sguardo implorante, come volesse chiederti di fare qualcosa.
Affetta da Coronavirus, vuole rivedere i suoi figli
Chiedi di passarle il telefono. La signora ha un telefono vecchio, non è anziana, ma nemmeno tecnologica, non puoi avvicinare il telefono all’orecchio, quindi non sai cosa ti risponde il figlio. ma quello sguardo ti ha trapanato, non sei soltanto un operatore, sei mamma, sei figlia.
Dici al figlio: radunatevi tutti e 4 ma proteggetevi con le mascherine. Fatelo prima che potete e poi chiamate in video chiamata questo numero e gli dai il tuo. Vi farò vedere mamma. È poca cosa, ma almeno non sarà una cosa interrotta di netto, e la potrete vedere.
Gli dici che sarai lì per altre 10 ore e di richiamare più volte se non rispondo subito. Non passa neanche un’ora, la collega dice che dalla borsa sta squillando il tuo telefono, tu sei sempre vestita e sempre in quella stanza, non sei mai uscita.
Le chiedi di prendere il cellulare, metterlo in un sacchettino, disinfettarlo e passartelo. Apri la video chiamata, tutti e quattro i figli lì, la paziente non se lo aspettava ed è felice come una Pasqua e tu con lei. Si parlano un bel po’, si raccontano, si dicono ti amo.
L’ultimo saluto, la lettera di un’infermiera
Lei desatura spesso perché si sta affaticando, ma sai il destino nefasto, non te la senti di chiedere di chiudere. Già una volta sono stati obbligati a tagliare, ora vuoi che la decisione sia la loro. La chiamata dura circa mezz’ora, ed è come se un cerchio si fosse chiuso, quello che doveva essere è stato.
Lei aveva resistito solo per loro, per vederli, per salutarli. Hai il cuore in mille pezzi. Pensi a te e ai tuoi figli e comprendi tutto, ogni sua preoccupazione. Ti prende la mano, ti dice grazie, veglierò su di te, per quello che hai fatto. E fai fatica a non piangere.
La paziente si spegne. Decidi di uscire e lasciare ai colleghi il resto. E vedi che, come le procedure prevedono, la cospargono di disinfettante, la avvolgono in un lenzuolo e la portano in camera mortuaria. Sola, sola, i suoi effetti personali messi in triplice sacco nero andranno inceneriti.
È domenica mattina. L’agenzia di pompe funebri è venuta a prendere la salma. Uno solo dei figli presente, a debita distanza. Non l’ha più vista da quella video chiamata. Dà indicazioni all’incaricato e vanno via, la sua macchina svolta a destra, la salma va a sinistra, sola. Non ce la fai, quello è troppo! E se fino ad ora non avevi pianto, ora non ce la fai. La lettera di un’infermiera che ha colpito tutti.