Sono passati 40 anni dalla morte del povero Alfredino Rampi, il bambino di soli 6 anni che cadde in un pozzo artesiano in località Selvotta, una piccola frazione di campagna vicino Frascati. Per tre giorni i soccorritori provarono a salvarlo, ma nessuno riuscì a tirare fuori Alfredino vivo dal pozzo.
Quella storia ebbe un risalto mediatico incredibile, con la diretta delle operazioni di soccorso, in una sorta di reality show dell’orrore. Il piccolo morì 3 giorni dopo e il corpo recuperato quasi ad un mese di distanza. Da quell’episodio si decise di creare poi la protezione civile affinché eventi come questi non si verificassero più.
A distanza di quarant’anni da quel triste episodio Franca Bizzarri Rampi, madre del piccolo scomparso a soli sei anni, ha dichiarato che nel nostro Paese “manca ancora a livello diffuso la cultura della prevenzione”.
Subito dopo la tragedia è stato istituito il centro Alfredo Rampi nato dalla volontà dei genitori del piccolo. Oggi è diventato un punto di riferimento nazionale per la formazione dei soccorritori. In questi quarant’anni sono circa 60mila i bambini e i ragazzi che hanno partecipato ai corsi del centro, organizzati per promuovere la cultura della sicurezza e della protezione.
E, durante il lockdown, ha aiutato telefonicamente tramite il suo team di psicologici le persone che avevano bisogno di aiuto.
Alfredino Rampi, da quella tragedia tanto è cambiato nel nostro paese
“In Italia dopo 40 anni è cambiato tanto purtroppo e al tempo stesso grazie a Vermicino. Tutto quello che all’epoca è mancato e che purtroppo, forse, ha generato anche il fallimento del salvataggio di Alfredino è migliorato. Abbiamo imparato che c’era bisogno di un sistema organizzato di soccorsi. Un coordinamento tra soccorritori che a Vermicino non c’era” – ha detto all’ANSA Daniele Biondo, uno dei psicanalisti del centro Alfredo Rampi.
“Franca Rampi reagì al dolore con grande forza: fece subito un appello per mobilitarsi come cittadini e istituzioni, fondò dopo poco l’associazione a nome del figlio perché nessuna mamma dovesse vivere il dramma che aveva vissuto lei – continua Biondo – Fu l’unica diretta di tre giorni che raccontò davvero la realtà: in cui si vide la confusione, la disorganizzazione, la pressione psicologica sui soccorritori e il paese ne rimase traumatizzato”.