In qualsiasi modo si concluderà la crisi di governo appena iniziata, sarà difficilissimo scongiurare l’aumento dell’Iva. Non impossibile, sia ben chiaro, ma molto complesso.
Quindi ormai praticamente dobbiamo rassegnarci ad avere aumenti dell’Iva che saranno anche consistenti. Infatti nel 2020 l’aliquota ordinaria del 22% salirà al 25,2%, e quella ridotta al 10% passerà al 13 per cento.
Con un effetto sul budget familiare stimato in 541 euro in media all’anno. Quasi “mezzo stipendio” mensile in un solo anno per tante famiglie, e questo quasi sicuramente farà perdere ai consumatori la voglia di comprare e spendere. Crisi di governo quindi vuole dire anche crisi dell’economia, ormai è assodato.
Le paure per l’economia
Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, guardando al futuro dell’economia non nasconde i suoi timori e le sue preoccupazioni.
“La crisi politica arriva in una in fase congiunturale critica, con la crescita acquisita per l’intero 2019 pari a zero. Uno scenario internazionale caratterizzato da guerre commerciali, dal timore della Brexit e il rischio recessione che interessa anche la Germania che ha chiuso il secondo trimestre con il Pil negativo.
L’allarme è giustificato anche dalle reazioni dello spread e dei mercati che ci dicono che nessuno ci farà sconti. Non interveniamo nel dibattito politico, ma segnaliamo alle forze politiche che serve una consapevolezza comune. Va messa in sicurezza la nostra economia, anzitutto disinnescando gli aumenti Iva“, dice Sangalli.
Aumento Iva: cosa sapere
Sangalli sottolinea anche che l’Italia non è l’unico Paese ad essere in pericolo, ma è tutta l’Europa che sta attraversando una fase di stagnazione dell’economia. Basta pensare alla Germania che in questo periodo sta rallentando e non è più la locomotiva d’Europa, anche nel Paese che fino ad oggi è stato quello con i tassi di crescita più elevati qualcosa si è spezzato.
In Italia non si riuscirà quindi a bloccare l’aumento dell’Iva. Il Def dell’attuale governo calcola in 25,1 miliardi le risorse da reperire, al netto del target 2020 indicato per la spending review (2 miliardi) e di altri micro-interventi.
Anche contando tutti i probabili risparmi derivanti da un impatto minore di quanto preventivato per quota 100 e “reddito”, e anche tenendo già conto delle maggiori entrate fiscali e dell’eventuale minore spesa per interessi, mancano ancora vari miliardi.