Ai nonni lontani, una riflessione che ci emoziona nel profondo. Tutti quei nonni che amano via Skype, che aspettano la videochiamata per parlare con i propri nipoti. Che si sentono tristi pensando a loro, e silenziosi attendono negli aeroporti il nostro arrivo.
La riflessione, apparsa su Huffington Post, è diventata virale. Una donna riflettere alla sua lontananza da casa e al desiderio che la famiglia potesse essere sempre presente, in qualche modo. Perché nei momenti più importanti, ci sono e ci saranno sempre.
Yingmei Duan ha 10 anni più di me, è cinese e ha scelto di fare l’artista perché era uno dei pochi lavori che le avrebbe consentito di non parlare con la gente. Quindi diciamo che io che finisco a parlare con chiunque si sieda accanto a me in treno, aereo, metropolitana, bus e fermata del bus ho veramente poco a che vedere con Yingmei.
Del resto noi due non ci conosciamo proprio, ci siamo incontrate solo una volta alla Hayward Gallery, 4 anni fa. Io da qualche mese mi ero trasferita da Milano a Londra. Lei preformava la sua arte accovacciata su un tronco, in una stanza trasformata in bosco a cui si accedeva da una porta piccola come quella del Paese delle Meraviglie.
Mi ha un po’ spaventata l’effetto tra The Ring e Twin Peaks di questa piccola cinese raggomitolata nei suoi capelli neri. Ho fatto per girarmi e scappare quando Yingmei si è alzata e ha iniziato a camminare verso di me. Non mi ha detto nulla, mi ha dato un bigliettino piegato in 4.
Ai nonni lontani, una riflessione
“Una mia amica coreana viveva a sole 3 ore di macchina dai suoi genitori. Da un anno diceva che voleva andare a trovarli, ma non ci riusciva mai. Per una settimana si dimenticò anche di fargli una telefonata. Una notte la madre la chiamò e le disse che suo padre era morto. Ricordati di chiamare i tuoi genitori e di far loro sapere che ti mancano“.
Ora. Questa cosa che voi chiamate arte contemporanea a casa mia si chiama iattura e non si fa, Yingmei! Yingmei non sa che da quando ho lasciato casa dei miei a 18 anni, sento religiosamente mia madre tra le 3 e le 5 volte al giorno.
Religiosamente significa che, se non dovessi rispondere a due telefonate di seguito, inizierebbe le chiamate di emergenza sfogliando le liste di miei amici e conoscenti, divisi per città di residenza.
Che nonostante quanto sopra, soffro da 20 anni del senso di colpa perenne di chi non vive vicino ai propri genitori, quindi non c’era poi bisogno di infierire. In questi 20 anni di vita lontano da casa non ho mai lasciato un litigio con mamma e papà durare più di un giorno.
“E se poi non avessi mai più la possibilità di far pace?”. Ho provato a organizzare le vacanze in base ai loro compleanni. E quando non ho potuto, ho guardato con il magone foto di feste a cui non c’ero. Gli ho dedicato molti “natali con i tuoi”, ma anche qualche “pasqua con chi vuoi”.
Ho registrato video messaggi di auguri e di buonanotte. Inviato lettere di scuse e email di richieste di aiuto (che in questo caso non ci si può affidare ai tempi delle Poste). Ho fatto brutti sogni che gli hanno allungato la vita. Ho avuto brutti pensieri che forse hanno accorciato la mia.
Sono sempre con noi
Ho ricevuto pacchi pieni di caffè e di amore e ho riempito valigie di regali e sensi di colpa. Poi i miei genitori sono diventati nonni, e a quel punto qualcosa è cambiato. La mia paura non è più stata quella di non esserci quando se ne andranno.
Ma quella che loro non ci sarebbero stati mentre mia figlia veniva al mondo, quando sorrideva per la prima volta o diceva la prima parola, quando iniziava a gattonare, camminare, correre, schiantarsi negli alberi col monopattino.
La mia paura è stata quella che mia figlia non li vedesse abbastanza da sapere che quelli erano i suoi nonni. Quindi sono iniziate le chiamate su FaceTime: “Mamma devi accendere il wifi sennò non funziona”. Le chat su Whatsapp per mandare i video e le foto delle tappe mancate che si misurano in giga di memoria occupati.
“Ho il telefono pieno, come faccio? Ma non le voglio cancellare”. Le rivendicazioni multimediali: “Oggi non mi hai mandato neanche un video, mandami almeno una foto“. Le chiamate a papà su Skype mentre è a lavoro e ci tocca sentirci le telefonate che riceve dai suoi clienti (o da mia madre).
Un pensiero ai nonni lontani, che amano in ogni momento
Abbiamo attaccato foto su tutti i muri da guardare ogni volta che ci si sveglia con la nostalgia: “I wanna go nonni’s house”. Abbiamo scaricato la app di Tango per video-chiamate senza wifi, ma mamma ancora non ha imparato a far rientrare la sua faccia nello schermo per cui spesso parliamo col lampadario della sua cucina.
Ci sono giorni in cui questo basta a tutti, in cui riusciamo persino a raccontarci e baciarci e abbracciarci attraverso questi piccoli schermi. Ed altri in cui la realtà è troppo più vicina e avvincente per perdere tempo davanti ad un telefono o a un iPad.
In questi giorni, wifi o no, la connessione non c’è, e allora per ristabilirla prendiamo aerei come se fossero taxi, con bagagli sempre più leggeri e cuori sempre più pesanti.
E una volta atterrati da quell’altra parte ci sono questi due ad aspettarci agli “arrivi” con le farfalle nello stomaco, due nonni che aspettano solo di essere riconosciuti.
A volte si portano un ovetto di cioccolata per essere sicuri di conquistarla, ma per fortuna basta un sorriso per scoprire che non ce n’è bisogno. (È chiaro che poi glie lo danno lo stesso).
Ai nonni lontani.
Daria Simeone