Lo abbandonano in un ospizio, dove rimarrà fino alla fine dei suoi giorni. Si chiamava Mark Filiser, e ha trascorso l’ultima parte della sua vita in un ospizio, da solo, lontano dai suoi cari e dagli affetti. Quando però muore, i famigliari rimangono senza parole.
Sono le infermiere a trovare qualcosa, uno scritto prezioso. Mark aveva parlato della sua vita, dal momento in cui era arrivato al mondo fino agli ultimi giorni. Ha ricordato l’amore, l’affetto, la perdita della moglie e la solitudine che arrivava.
Il suo cuore inaridito dopo la scomparsa della persona che aveva amato per tutta la vita. Non solo dolori, perché Mark parla anche dei bei tempi andati, della nascita dei figli e dei nipoti, dell’amore che c’era racchiuso in una stanza. I familiari lo abbandonano in un ospizio dimenticandosi di lui, ma lui non dimentica loro.
La poesia, che si intitola “Scorbutico Vecchio” è stata pubblicata in molte riviste. Vola nei nostri cuori, il ricordo di questo “anziano”, che è rimasto a lungo a osservare la sua vita, da solo. Senza nessuno che si prendesse cura di lui, solo la memoria di ciò che era stato.
Lo abbandonano in un ospizio, scrive una poesia

“Che cosa vedi, infermiere? Cosa vedi?” A cosa stai pensando quando mi guardi? Vedi un uomo vecchio, irritabile, non molto saggio, dalle abitudini incerte con gli occhi lontani? Che dribbla con il cibo e non dà alcuna risposta.
E che quando provi a dirgli a voce alta: ”almeno assaggia”! Sembra nulla gli importi di quello che fai per lui. Uno che perde sempre il calzino o la scarpa, che ti resiste, non permettendoti di occuparti di lui, per fargli il bagno, per alimentarlo. E la giornata diviene lunga.
Ma cosa stai pensando? E cosa vedi? Apri gli occhi infermiera. Perché tu non sembri davvero interessata a me. Ora ti dirò chi sono, mentre me ne sto ancora seduto qui a ricevere le tue attenzioni, lasciandomi imboccare per compiacerti.
Ho accettato l’offerta di nascere e ho mangiato secondo il loro piacimento. Io sono un piccolo bambino di dieci anni con un padre ed una madre, fratelli e sorelle che si vogliono bene. Sono un ragazzo di sedici anni con le ali ai piedi che sogna presto di incontrare l’amore.
A vent’anni sono già sposo, il mio cuore batte forte giurando di mantener fede alle sue promesse. A venticinque anni ho già un figlio mio che ha bisogno di me e di un tetto sicuro, di una casa felice in cui crescere. Sono già un uomo di trent’anni e mio figlio è cresciuto velocemente.
La sua vita in una poesia
Siamo molto legati uno all’altro da un sentimento che dovrebbe durare nel tempo. Ho poco più di quarant’anni, mio figlio ora è un adulto e se ne va, ma la mia donna mi sta accanto per consolarmi affinché io non pianga.
A poco più di cinquantanni, i bambini mi giocano attorno alle ginocchia. Ancora una volta, abbiamo con noi dei bambini io e la mia amata. Ma arrivano presto giorni bui. Mia moglie muore, guardando al futuro, rabbrividisco con terrore.
Abbiamo allevato i nostri figli e poi loro ne hanno allevati dei propri. E così penso agli anni vissuti, all’amore che ho conosciuto. Ora sono un uomo vecchio e la natura è crudele. Si tratta di affrontare la vecchiaia con lo sguardo di un pazzo.
Il corpo lentamente si sbriciola, grazia e vigore mi abbandonano. Ora c’è una pietra, dove una volta ospitavo un cuore. Ma all’interno di questa vecchia carcassa un giovane uomo vive ancora e così di nuovo il mio cuore martoriato si gonfia.
Mi ricordo le gioie, ricordo il dolore. Io vorrei amare, amare e vivere ancora, ma gli anni che restano son pochissimi, tutto è scivolato via, veloce. E devo accettare il fatto che niente può durare. Quindi aprite gli occhi gente, apriteli e guardate. Non un uomo vecchio, avvicinatevi meglio e vedrete.
Quando guardate nonni, madri e padri anziani, guardateli profondamente come specificato nella poesia. Avvicinatevi meglio, guardate ciò che sono stati e ciò che vi hanno permesso di essere e non quello che sono diventati col tempo che purtroppo invecchia, e vedrete che non li abbandonerete nemmeno per un attimo.