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La novella della festa del papà: un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno

La novella della festa del papà, scritta da Dino Focenti, vuole farci riflettere sul passato di ogni padre e sulla sua presenza.

Serena De Filippi by Serena De Filippi
15 Marzo 2019
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Oggi vogliamo condividere con voi una novella della Festa del Papà. Questo giorno speciale si sta avvicinando. Dunque, è il momento di fare un po’ di riflessioni: i nostri papà sono tutto per noi. La loro forza, la loro presenza: ogni cosa in loro ci ispira felicità.

Ci prendono la mano, ci consigliano, ci guidano in questa strada difficile che è la vita. Non è sempre facile fare il genitore. Il senso della novella, ad opera di Dino Focenti, tratta dal sito I Tre Sentieri, dovrebbe farci riflettere sul nostro ruolo di figli e di genitori.

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Stare accanto ai figli è quanto di più speciale la vita e Dio ci abbiano permesso. Onoriamo la ricorrenza con un’emozionante racconto, che ha lo scopo di mostrare tutti i papà e i loro pesi.

Vi lasciamo con una riflessione, a opera di uno degli scrittori più amati di tutti i tempi, a cui abbiamo deciso di dedicare parte del nostro titolo: Fëdor Dostoevskij.

“Colui che genera un figlio non è ancora un padre, un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno.”

A tutti quei padri che non hanno mai dimenticato di esserlo, neppure per un giorno. E a quei padri che hanno la forza di accettare il passato e di crescere serenamente i propri figli. A voi va il nostro augurio più grande e sincero. Leggiamo la novella della Festa del Papà.

Novella della Festa del Papà di Dino Focenti

Roberto quella mattina era contento, molto contento, e non per l’andamento della Banca. Roberto era un direttore di banca, giovane, ma già affermato; capace e con un grande intuito per gli andamenti finanziari. La direzione generale era molto soddisfatta di lui e forse, tra non molto, si preparava un’altra promozione.

Ma quella mattina Roberto era contento non per il suo lavoro. Lui stesso si meravigliava e sorrideva per quella sua contentezza. Non lo avrebbe mai immaginato: essere felice per ciò che gli avrebbe regalato Dylan.

Dylan era il suo figlioletto di tre anni. Da qualche mese frequentava l’asilo e quel giorno per il papà ci sarebbe stata una sorpresa. Era il 19 marzo, la festa del papà, e il piccolo Dylan gli avrebbe portato un lavoretto fatto all’asilo.

“E’ possibile mai –pensava- che sia tanto felice per così poco?” Eppure Roberto si sentiva felice. Quel pomeriggio non vedeva l’ora di tornare.

Quando rincasò, trovò moglie e figlioletto ad attenderlo. “Auguri, papà!” e Dylan gli porse un pacchetto. A lui non interessava aprirlo; era quel gesto che tanto desiderava. Si commosse.

Il passato

Fissò la moglie e si commosse ancor di più. “Stasera tutti insieme a mangiare una bella pizza!” comunicò; e prese in braccio il bimbo facendolo girare come una trottola.

Si prepararono e uscirono. Nell’auto cantarono; e allegri entrarono in pizzeria. Prima di sedersi, Roberto disse ai suoi che doveva andare in bagno. Entrò nella toilette e trovò dinanzi un grande specchio; mentre lavava le mani, si fissò.

Ancora una volta si disse pensando: come sono felice! E si guardò negli occhi. Ma fu proprio allora che Roberto ricordò e sentì il cuore quasi fermarsi nel petto. Lo specchio era così ben illuminato che non gli fu difficile vedersi impallidire.

Non si disse più: “come sono felice!” ma si chiese: “come posso, io, essere felice?” Gli era bastato un attimo e il suo stato d’animo era profondamente cambiato. A lui, che aveva sempre avuto un carattere deciso, mai instabile.

Tornò al tavolo, trattò freddamente i suoi e quasi non riusciva più a guardare il suo Dylan.

“Che hai? Non ti senti bene?” Gli chiese la moglie.

“No, no…è solo un po’ di stanchezza…” Rispose Roberto.

La serata era iniziata bene, forse troppo bene, e ora… ora andava giù come un funerale. Roberto in silenzio; e la moglie preoccupata a pensare cosa fosse accaduto al marito. L’unico a non essersi accorto di nulla era lui, Dylan, che d’altronde aveva solo tre anni.

La ricerca della felicità: la novella della festa del papà

La mattina seguente per Roberto fu la stessa cosa: una malinconia diffusa lo pervadeva. Ed era una malinconia che aveva una causa…e Roberto la conosceva molto bene.

Per giorni e giorni si chiese come mai solo allora, perché non ci aveva pensato prima, perché per anni aveva dimenticato tutto. Perché non si era risvegliato il ricordo quando era diventato papà o quando Dylan l’aveva per la prima volta chiamato papà?

Ma, invece, era successo adesso. In quella festa del papà in cui il suo figlioletto, per la prima volta, gli aveva portato un regalo. Anzi, tanto non gli interessava il regalo in sé che addirittura non ricordava nemmeno cosa fosse.

I giorni continuavano a passare, ma la malinconia non passava. La moglie lo vedeva triste e Roberto non riusciva più a giocare con Dylan.

Decise di andare da un medico. Gli raccontò tutto e questi, da buon specialista aggiornato, gli disse: “Sono sciocchezze, tutto passerà!”

Altro che sciocchezze! Più passava il tempo e più il rimorso aumentava. Anche nel suo lavoro non riusciva più a rendere come doveva. Fin quando un giorno gli venne un’idea. Corse a casa, cercò e ricercò nel suo studio e finalmente riuscì a trovare un vecchio numero telefonico.

Cercava il numero di un vecchio amico, Sergio: lo trovò! Era un amico che non vedeva da più di dieci anni. Telefonò. Gli rispose una voce di una donna anziana: “Ciao, Roberto, che piacere risentirti!” Era la mamma di Sergio.

“Vuoi Sergio? Se ti dicessi dov’è, non ci crederesti…Sergio è in convento a (*).” “E che fa in convento?” Chiese sbalordito Roberto. “Fa il monaco!” Rispose la donna come se fosse stata la risposta più naturale del mondo. Roberto rimase di sasso. Non salutò nemmeno e ripose lentamente l’apparecchio.

Quella notte non dormì bene. Il suo pensiero continuava a frullare. La mattina dopo, come sempre, prese l’auto per andare in banca, ma, giunto all’ultimo quadrivio, girò verso la tangenziale. Destinazione: (*)! Occorrevano all’incirca tre ore, ma che importava!

Quando arrivò al convento chiese del suo vecchio amico. Dovette attendere una mezzora, forse anche di più; poi vide dal fondo del lungo corridoio avvicinarsi il suo Sergio. Che strano vederlo vestito in quel modo! Anche Sergio lo riconobbe subito, sorrise, accelerò il passo e lo abbracciò.

I due si parlarono per molto tempo e si promisero di rivedersi al più presto.

Il dono del figlio

Ancora una volta era accaduto qualcosa di misterioso nella sua vita. Roberto adesso si sentiva meglio. Aveva riguadagnato la serenità.

Per tutto il tragitto di ritorno ripensò a quello che Sergio gli aveva detto, che avrebbe dovuto fare e che fino ad allora non aveva ancora fatto.

Tornò a casa. Salutò con affetto moglie e figlio e andò subito nel suo studio. Chiuse la porta a chiave e aprì un piccolo cassetto della sua libreria.

Prese un raccoglitore, bello, elegante, di velluto rosso, dove aveva archiviato vecchi articoli di giornale, lo aprì, rilesse qualcosa, poi se lo mise sotto il braccio. Riaprì la porta, scese in cortile e lo buttò nel cassonetto della spazzatura.

Roberto aveva finalmente deciso di buttare il suo passato nella spazzatura, soprattutto di buttare le tante sofferenze che anche lui, seppur indirettamente, aveva causato. Quante volte avevano applaudito, lui e Sergio, alla notizia che la “giustizia proletaria” aveva giustiziato un altro servo dello Stato borghese: il carabiniere, il giornalista, il professore, il commissario…eh già! Il commissario.

Era il 19 marzo del 1977 e nel collettivo si era messo ai voti se colpire l’auto del commissario (*). Lui e Sergio votarono “sì”, quasi tutti votarono “sì”. Nell’auto, oltre l’uomo, vi era anche il suo figlioletto di tre anni. Certo! Erano stati altri a compiere manualmente quel delitto, ma lui e Sergio avevano votato a favore.

Fino ad allora Roberto, pur avendo capito l’inutilità di quelle lotte, aveva sempre giustificato: la guerra è guerra, quegli anni erano quegli anni…Ma questa non era la soluzione. Queste spiegazioni non gli avevano permesso di guardare serenamente gli occhi di suo figlio.

Roberto risalì le scale. Entrò in casa, ritornò nello studio, prese il regalo che Dylan gli aveva fatto per la festa del papà. Era un brutto (ma quanto sembrava bello!) portapenne fatto con mollette per i panni, con la scritta “auguri, papà”, e per di più sporco di colla rassodata.

E Roberto lo pose in quello stesso cassetto ch’era finalmente vuoto. Una novella della festa del papà che tutti noi dovremmo leggere.

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